domenica 20 dicembre 2009

Crepi il lupo

Crepi il lupo 
di Deepblue52 & Lunanera
(anche su youtube)




Quella mattina, come sempre il giorno della Befana, si era svegliato prestissimo. Voleva correre in soggiorno, ai piedi dell’albero di Natale intermittente di lucine rosse. Lì ci sarebbero stati, sicuramente, i suoi regali e la calza con i dolci. Anche quest’anno, in fondo in fondo, serpeggiava la solita paura….il carbone! Quel carbone che gli veniva minacciato per le sue monellerie.
Il passo rallentò. La minaccia avrebbe potuto concretizzarsi. Era stato lui, dopo tutto, l’artefice, l’ideatore del complotto, messo in atto con i fratellini, per “smascherare” la Befana. 
Si erano accordati per tenersi svegli a vicenda la notte della vigilia. Per scacciare il sonno si erano raccontati storie terribili. Mostri, vampiri, draghi,  avevano popolato la loro cameretta.  Poi, uno alla volta, i fratellini, tenendosi per mano, si erano addormentati, comunque. 
Solo lui aveva resistito. Raccontava a mezza voce, ormai solo a se stesso, del grande Mago malvagio, che trasformava i bambini in una folla di personaggi che rinchiudeva nelle palle di vetro. Quelle che si vendono sulle bancarelle del mercatino di Natale. Quelle che se le giri scende la neve.
A lui piacevano i racconti “terribili”. Era un esperto anche nell’inventarsi i nomi dei mostri. Ogni mostro che si rispetti deve avere un proprio nome da battaglia che possa incutere timore a chiunque lo pronunci, come “Bahamut” il re dei draghi. Ogni sera, prima di addormentarsi, narrava ai fratellini un racconto avventuroso.  E, quei personaggi, dalle sembianze dei videogiochi, rievocati, si materializzavano nella loro cameretta. Anzi, ne era certo, qualche volta, quando trovava al mattino, un libro spostato o un giocattolo rotto, non potevano che essere segni inequivocabili del “passaggio” nella sua stanza.
Nell’assoluto, innaturale silenzio generale della casa, ancora in pigiama, a piedi nudi, per non far rumore, aveva attraversato il corridoio. Arrivato in vista dell’albero, nella penombra della finestra, c’era una figura gigantesca. 
Il Mago. 
Quello lo guardò poi, tese verso di lui, sogghignando, l’enorme mano che reggeva una palla di vetro.
Era terrorizzato ma non poteva, ormai, non prendere la palla. 
La prese e al suo interno, sotto uno strato di neve finta, riconobbe la sua casa, ridotta a miniatura. 
Avvicinò gli occhi alla superficie fredda, voleva guardare meglio. Nella casetta, dietro le finestrelle, riuscì a vedere i fratellini e i genitori che si muovevano, come personaggi di uno dei suoi videogiochi. 
Corse tremante nelle stanze da letto ma, non c’era nessuno! 
Fece appena in tempo ad aggrapparsi ad uno stipite. La sua casa girò velocemente sotto sopra. Fuori, oltre le finestre nevicavano finti fiocchi. 
Affacciandosi vide che tutte le case dell’isolato, una affianco all’altra, erano avvolte da una sfera di vetro. 
Sentì il Mago dire: “Mi hai creato tu, ….in bocca al lupo!”
La palla gli scappò dalle mani e rotolò alla base del pesante vaso dov’era piantato l’albero di Natale intermittente di lucine rosse

mercoledì 16 dicembre 2009

Crepi il Lupo 1 Il grande Narratore



Chiuse il libro con un involontario sorriso di soddisfazione, e si appoggiò allo schienale della poltrona finché non lo toccò con la testa, rilassandosi.
Anche questo sarebbe stato un successo, sperava e si ritrovò a pensare da solo, “Crepi il Lupo”.       

La nuova storia della morte, che sotto le mentite spoglie di una donna apparentemente indifesa, accusata di stregonerie, raggiungeva, a sorpresa, lo scopo di porre fine alla ignobile vita di un inquisitore, era la sua ultima invenzione letteraria.
Adesso si poneva il problema di trovare qualche modesto scrittore che fungesse da autore.
Negli ultimi tempi aveva ottenuto uno splendido risultato con una signora inglese, a cui aveva scritto un’intera saga. Si trattava di un Mago, che apparteneva ad una stirpe di famosi maghi ormai morti,  le cui avventure venivano narrate da quando piccolo incomincia a frequentare la scuola di magia fino all’età adulta. Milioni di libri venduti e bambini di tutto il mondo che scrivevano a Babbo Natale o alla Befana per averne una copia.
Quasi altrettanti ne erano stati stampati a firma di un americano. Lì si era inventato una dinastia femminile della progenie del Salvatore, il cui segreto veniva custodito dai più illustri uomini di cultura e scienza nei secoli fino ai nostri giorni.
Prima gli aveva scritto un intreccio fra sette segrete e poteri ecclesiastici che si snodava, attraverso famosi luoghi turistici di Roma fino a coinvolgere in un complotto, l’elezione di un papa.
Sorrideva pensando a come tutto prima era più semplice.
Aveva avuto vita facile, per tanto tempo, quando passò ad un narratore cieco la storia della conquista di una città attraverso l’inganno della folla dei suoi cittadini con un cavallo di legno. Altrettanto ne aveva riscosso con i racconti del viaggio avventuroso del suo eroe, per tornare all’isola ionica dove lo attendeva la moglie.
Era molto orgoglioso del maiale, Palla di Neve, che voleva costruire un ideale mulino nuovo, nella fattoria dove gli animali sognavano un mondo egualitario, che poi si rivelerà un feroce fallimento, perché tutto il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto.
Peccato che era morto giovane quello che aveva scelto come autore.
Insomma lui ideava e poi discretamente, addirittura in sogno, dava i suoi scritti a poveri mortali che si trasformavano nella sua voce narrante.
Nel tempo gli avevano dato molti nomi: Musa, Minerva, Letteratura, ma nessuno aveva sospettato che fosse lui il “Grande Narratore”.
Tutto era andato bene finché non aveva incominciato a scrivere un raccontino, che aveva intitolato, “la lettera”. Ne aveva scritto una seconda parte che aveva chiamato “UNO”, e a quel punto si era imbattuto in una donna che piano, si era insinuata nelle sue idee, e senza che se ne accorgesse, finì con lo scrivere con lui la storia finale, “TRE”, e da quel momento non fu più capace di continuare da solo.

lunedì 14 dicembre 2009

DUE ("la lettera" racconto Blu)



Il triangolo rosso di una vela da surf spiccava sul blu del mare e la sua scia sembrava strappare, in orizzontale, questa immagine da dépliant turistico. Disteso sulla sdraio a bordo piscina, guardava in direzione di quella scena, bevendo un Margarita e finalmente sentendosi in pace col mondo. Erano anni che non riusciva a godersi il sole e il mare così intensamente.Riprese in mano il foglio che stava sul tavolino, fermato dal posacenere perché no volasse via. Lo rilesse ancora una volta. “ Questa raccomandata è per comunicarti che ho cambiato il mio domicilio. Mi sono trasferita e ho eletto la mia residenza in viale Benedetto Croce numero 45. Qui con il mio nuovo compagno, il tuo ex amico Michele, vivrò la mia vita. Per qualunque comunicazione, d’ora in poi dovrai contattare il mio legale, Avvocato Maria Marretta, a cui ho dato mandato di avviare le pratiche di divorzio. Ho saputo che hai perso il lavoro. Non mi interessa più il motivo.Sarà solo un piacere non avere niente in comune con uno sfigato come te.” Prese il suo MacBook e incominciò a digitare una mail. “ Mia cara, ti scrivo per rispondere alla tua raccomandata. Innanzi tutto sono felice per la tua nuova vita. Avendo rinunciato al mio lavoro posso dire senza paura di perderlo, che il mio ex amico Michele, è tutt’ora in trattamento per l’AIDS, che ha contratto usando con un transessuale i campioni di Viagra che gli regalavo perché lui, non aveva i soldi per comprarlo. Ho lasciato il lavoro perché al ritorno dal congresso di Berlino, la settimana scorsa, in aereoporto, ho comprato un biglietto del superenalotto, il cui superpremio da novanta milioni di Euro è stato vinto da un biglietto acquistato all’aereoporto di Roma. Già proprio il mio. Sono proprio sfigato come dici tu. La tua lettera, mi dice l’avvocato, mi esime dal darti un solo centesimo del mio patrimonio. Adesso sono alle Barbados e non so quando torno. Ma puoi farti spiegare tutto dalla tua avvocatessa, se potrai pagarla.” Stava per cliccare sul tasto di invio, ma si fermò e chiudendo il computer pensò, che non era il caso di informare quella vipera che lo voleva umiliare. La vendetta è un piatto che è meglio gustare freddo

UNO (racconto bianco)





Dopo un mese alle Barbados anche il piacere incominciò a non essere più piacevole. Era tornato a casa. Il primo pensiero quando Dino aprì gli occhi fu, avendo tirato su la tapparella, che la giornata si annunciava piena di sole, anche se ormai era metà dicembre. E subito si accorse che gli mancava qualcosa. Aveva fatto tutta una tirata di sonno, la temperatura della stanza di quell’albergo era giusta, ma qualcosa non andava bene. Era quasi nervoso. Lo scenario era perfetto, ma l’irritazione incominciò a crescere sempre di più. Subito fu chiaro che cosa stonava in quella perfetta sinfonia di fine autunno. Gli mancava il piacere di aprire gli occhi e accorgersi della presenza di qualcuno accanto. Sapeva bene che non gli bastava una presenza qualunque, era Una, la presenza che desiderava. Ma nonostante tutti i suoi sforzi non c’era stato verso di riuscire a convincere lei a passare la notte con lui. Aveva cercato di essere spiritoso, aveva fatto sfoggio di tutte le sue capacità di brillante conversatore, aveva tirato fuori tutta la dolcezza di cui era capace, ma aveva ottenuto, forse, di scatenare in lei un attacco acuto di diabete, ma quanto a convincerla, niente. Il massimo cui era arrivato, era stato di tenerla abbracciata con la testa appoggiata sulla sua spalla. Siamo amici, aveva detto lei, allontanando la sua mano che accarezzandola sul fianco era risalita fino al lato del seno. Ovviamente lui si era sentito un verme, non voleva darle l’impressione di avere in mente uno scopo erotico. Certamente la desiderava molto, era bellissima, ma non voleva forzare gli eventi, gli sarebbe molto piaciuto che il grande, immediato, quanto non premeditato, desiderio che aveva di far l’amore con lei, avesse seguito i binari di una naturalezza di eventi che, coinvolgendoli progressivamente, si fossero spontaneamente evoluti in direzione di una reciproca ricerca e soddisfazione di piacere. Quella frase, invece l'aveva gelato, e bloccato in un rigor quasi mortale. Lui aveva di lei una concezione di fragilità, che lo obbligava a trattarla sia verbalmente, sia fisicamente, come una coppa di vetro soffiato. Si erano conosciuti sul web, un sito di blogger scatenati che si pensavano scrittori. In realtà qualcuno era proprio bravo. Una versione informatica di telepatia li aveva reciprocamente interessati. Si erano scambiati commenti, poi, messaggi, prima pubblici, poi privati. Incuriositi dall’altro si erano mandati link personali, foto, ed infine era arrivato l’appuntamento. Per conoscersi non virtualmente. Il primo incontro a Roma, fu subito un’esplosione di emozioni. Sembravano adolescenti. Una cena, ottima, una passeggiata tenendosi sottobraccio, un drink, e tante parole. Non aveva mai creduto ai colpi di fulmine e rimase spiazzato. Si erano separati che erano le tre di notte, e l’aereo partiva alle sette. Ci vediamo sul web, si erano detti, ma sapeva, che ormai non si sarebbe più potuto accontentare del virtuale.

TRE (racconto rosso)



Giornata troppo piena. Giornata troppo stanca. Giornata …troppo. Una stanza d’albergo e voglia di..e voglia di nulla.
Abitudine, caso, ricerca, le dita scorrono sulla tastiera e cercano. Non sanno cosa. Guarda…un blog di scrittura. Di scrittori in erba. Di chi si vuole raccontare. Di chi si vuole inventare.
Una storia, fra le altre. Una storia. ….ma è la mia! No non è la mia. Non ci sono. E’ la mia che non mi appartiene più. Non ci sono. Storia comune. Storia di tanti. Storia che si ripete. No. Non è la mia!
Poi un messaggio. Rispondo. Un altro. Rispondo. Caso, casualità, l’autore della storia. Non è la mia! Città, età. Interesse. Attraverso la tastiera scorrono lenti i pensieri, rapide le parole della chat. Esperienze, brandelli. Vissuto in gocce.
Non voglio addormentarmi. Mi hanno rubato i sogni! Non possono averli rubati sono lì. Lo so ogni notte e sempre diversi. Ma sono invisibili!!!! Cerco un sogno “lucido” sullo schermo? Per carità! Voglio solo ricordarmi i “miei” sogni. Questa notte ci riprovo!
Di nuovo sera, il giorno porta tante cose, la sera….ri-cerco, ri-trovo… il “contatto”. Elementi noti. Affinità casuali?...devo superare la mia difficoltà a chiedere, curiosa, di vite di altri senza volto. Solo che il volto mi si costruisce! Prima per intuizione, poi sempre più chiaro, poi sempre più noto, poi ne vedo i dettagli, ne riconosco le pieghe, lo “scorro” ipovedente sfiorando i tasti….
Ormai non ci sono dubbi ….è Dino. Ci vuole fortuna! Continuo, scrivo, chiedo, rapida, per impedirmi di pensare, per cercare di capire, ma cosa?
Chiedo, …chiedo di me! Chiedo a lui della “mia” storia! Chiedo di me! Chiedo dell’altra, di chi E’ STATA dopo di me. Di sua moglie. Ex precisa. Quante ex.
Posso far cadere la linea, banalmente portare il cursore sulla X e click! Troppo banale. Posso dirgli: “Dino chiudiamola qui…sono Alba!”, nel frattempo..albeggia. Questa notte sogno ti catturerò per ricordarti domani.

Dino, svegliandosi quella mattina si rese conto di trovarsi come sempre nella sua città, nel suo letto e che a Roma non c’era andato da molti mesi. L’incontro con la misteriosa compagna di penna del suo blog non c’era stato.
Non sapeva ancora chi fosse quella donna, che gli rifilava critiche pungenti ai post, con la sottigliezza di un critico letterario.
Però qualcosa continuava a “firriargli" nella testa, come avrebbe detto Camilleri.
La sera, anzi la notte prima, avevano scritto per due ore nel canale della messaggeria che si erano aperti sul web per l’occasione. Ora capiva che il sogno era dovuto a quello scambio di battute. Sin dalla prima volta, che lei lo aveva contattato sul blog, lui ne era rimasto insieme attratto e allarmato. Aveva scrutato i dati del profilo, e aveva trovato una serie di affinità. Ma qualcosa non funzionava. Qualcosa suonava strano.
Aveva la sensazione di essere sotto osservazione.

Ho visitato il suo blog…c’è una dedica.. per me!?...apro la posta….un messaggio! Il cuore batte, l’emozione dilaga. Pensavo non potesse PIU’ accadere. Pensavo mi si fosse atrofizzato il cuore e che le emozioni fossero tutte, sempre, talmente decantate da…non emozionare.
Ma non è per me! Non è la mia storia!E’ tutto per un’altra! Quella sono io, ma non è la mia storia! Gelosia che lacera il cuore, invidia verso l’altra me! Non posso stare a “guardare” questa storia. Devo andar via!
Ma, questa sera,….un attimo…un attimo ancora…voglio vivere il sogno. Sogno lucido. Attendo un sogno vero…consolatore!

Violando tutte le norme di prudenza comportamentale minima, delle chat, le aveva dato, praticamente subito, tutti i suoi dati, reali. Lei, invece, negava qualsiasi accenno a possibilità di farsi identificare. Questa disparità, di comportamento, non sembrava dovuta alla normale reticenza a mischiare reale e virtuale, ma nascondere qualcos’altro. Poi, pian piano, quasi fossero tante piccole lucine led, una serie di piccoli indizi avevano incominciato ad allarmarlo. In questi ultimi giorni, ogni due righe che si scrivevano, compariva un riferimento, che faceva suonare nella sua testa un campanello. Qualche sera prima, tra luci e suoni nella sua testa sembrava di essere al concerto dei Pink Floid a Pompei. Un riferimento al film di Tornatore che pochi conoscono, al libro, meno famoso di Marquez. E che dire del nome che gli aveva dato? Siamo tutti schedati su internet, e quindi era bastato andarlo a cercare su Google, e caso strano a quel nome corrispondevano migliaia di link che facevano riferimento ad una persona, che non aveva foto, e che era presente come esponente di una ditta che organizzava eventi culturali. Quando le aveva chiesto notizie su quell’impresa lei aveva scritto che non lavorava più per loro da tempo. Ma i file su Google dicevano di cose in corso o programmate a breve dove compariva, quel nome. Un concerto di campanelli. Un’altra mitragliata di “Sons et Lumiéres” era esplosa, nel cervello, quando aveva dimostrato di essere ferratissima sui miti di “Lilith”, la prima donna, e sui massaggi “Thai”, e sulla cucina raffinata, per esempio sul riso nero Venere. Chi gli veniva in mente, quando pensava a tutte queste cose? Le scrisse un messaggio in cui le proponeva di collaborare alla stesura del suo prossimo racconto. Avevano in mente lo stesso finale “a sorpresa”. Che minchia di sorpresa era se la pensavano uguale già in due su due? Allora le scrisse il numero del suo cellulare, contravvenendo a tutte le regole dei contatti in rete. La risposta fu che non poteva telefonargli.
Stamani un pensiero al risveglio. Anzi due. Decisamente troppi per chi ha bisogno di tempo per prendere i contatti con il mondo. “Accendo il computer! Chissà se…” immediatamente dopo “hai bisogno di un <>…una revisione di testa…chiama l’analista e prenota almeno una seduta…al giorno”.
E con questa “botta” di razionalità e con la ferma intenzione di “provvedere” al tagliando la giornata è trascorsa.
La sera “Lei” ha preso il sopravvento. Devo ricordarmi di “legarla”! Questa incomincia a fare casini…troppi! Ritrovo Dino, mi lascio trasportare da una conversazione che pur singhiozzante per il mezzo mi cattura. No la cattura (lei la fortunata, la destinataria delle attenzioni). Ma non è la mia storia!
Momento temuto…e ora? Compro una scheda nuova penso, lei pensa ovviamente non pensando alla “voce”. No lei non pensa! Non pensa lei è felice. Io soffrirò. Cosa gli racconto…che sono muta? Devo perdermi , dissolvermi nella rete….come farò senza di lui?
Rialbeggia…questa volta non vorrei andare via, non vorrei salutarlo, può, deve, essere l’ultima volta. Mi sto facendo del male. Questa non è la mia storia! Questo non è un film, non è “Seta”, non è “L’amore al tempo del colera”. Questa è la vita….ma non potrebbe essere un sogno? Non voglio svegliarmi.

Il cervello fece un botto. Ebbe la certezza che si conoscevano, davvero, e lei non poteva chiamarlo perché ne avrebbe riconosciuto la voce.
Cazzo!
Ma certo, tutti quei dettagli, quella affinità, era Lei, il suo primo vecchio, mai sopito amore. Era Lei che lo aveva cercato, e trovato sul blog, si sentì lusingato.
Fece ancora finta per un po di sere di non aver capito, giocò come il personaggio della moglie in “Seta” di Baricco, ma in realtà avvertiva una specie di disagio.
Avrebbe voluto tessere quella ricostruzione, ma si sentiva osservato con l’inganno, come al centro del mirino del fucile di precisione di un bracconiere. Quella sera, quando si ritrovarono su MSN la salutò col suo vero nome, e al suo ciao, di risposta, chiuse il collegamento e non tornò più in linea.
Non gli piaceva sentirsi preda, non era mai stato cacciatore, ma non voleva sentirsi preda.
Prese il telefono e l’invitò a cena.

La strega (racconto gotico)




L'ambiente era immerso in un buio profondo, freddo di morte, quando sferraglianti d’armi arrivarono i gendarmi ad aprire la porta chiodata di quella segreta, illuminando piccole sfere d'umido con le torce.
Si avvicinarono alla donna accovacciata vicino al muro con le mani legate dietro la schiena. La misero in piedi e la spinsero verso il tavolo largo e grezzo che ospitava tre uomini, seduti dall'altro lato.
Lei era in piedi, con una leggera veste chiara che le scendeva dalle spalle fino a quasi toccare terra. Era magra, per i lunghi periodi di fame, ma nonostante ciò con i muscoli tonici e ben formati. Era piuttosto alta rispetto alla media. Gli occhi neri erano evidenziati da ciglia lunghe che raggiungevano le folte sopracciglia appena arcuate sotto la fronte pallidissima.
Il giudice interruppe quel silenzio chiedendo, per formalità se il suo nome era quello a loro noto e se si riconoscesse strega e malfattrice come indicavano le prove a suo carico. Ma il silenzio si rimpadronì dell'ambiente. La donna farfugliò qualcosa con quel filo di voce di cui era capace dopo cinque giorni di digiuno in quella prigione.
Uno dei tre seduti al tavolo scattò in piedi mettendo in guardia gli astanti dalle frasi in lingua demoniaca che sicuramente quella strega stava pronunciando, recitando un teatralissimo scandalo. Ma nessuno dei presenti sembrò dargli ascolto, avvezzi a quei rituali.
Le guardie la afferrarono e la trascinarono verso un tavolo, su cui la gettarono dopo averle con un unico gesto strappato la veste di dosso. Lei fu capace solo di un gemito che accompagnò il tonfo del capo sulle assi.
Le legarono i polsi e le caviglie. Incominciarono a tirare le funi che le allargarono le braccia e le gambe come i raggi di un immaginario cerchio. Quando tutto fu ben teso, la sua nudità esplose per il bianco della pelle sottolineando il nerissimo folto pube.
Era di una bellezza indiscutibile. Persino le guardie, uomini dai gusti grezzi, sembrarono colpiti, prima di incominciare a scambiarsi apprezzamenti grevi e pregustando la possibilità di mettere le mani e non solo, su quel boccone.
Il giudice si avvicinò e incominciò urlando a dirle di confessare l'uso di galli neri e altri animali nei suoi riti satanici, e di ammettere di aver giaciuto con bestie e streghe.
Si raccontava che avesse più di centotrent'anni e che fosse stata vista bere sangue per ritornare giovane d'aspetto, ad ogni luna per giacere, gradita a Satana!
Lei non rispondeva, sapeva che era inutile.
Il giudice dette altre stupidaggini tanto per dirle, si abbatté teatralmente su una sedia vicina per fingere spossatezza nella lotta contro il male. Anche questa era una scena già vista.
Stando seduto davanti a quelle gambe divaricate il suo sguardo si andò ad infilare in quella specie di fuga prospettica, che suo malgrado scatenò un’improvviso movimento sussultorio del saio all’altezza del bacino.
Era da quando era adolescente che la bramava, e finalmente era lì. Ordinò a tutti di allontanarsi.
Quando furono soli, si avvicinò alla donna e le disse:
- Finalmente ti avrò!
Si sfilò il candido saio e salito sul tavolaccio si apprestò a penetrarla.
In quel momento, quando già sfiorava le grandi labbra col suo sesso mai stato così eretto, sentì la fredda voce della donna dire:
- Questo è il tuo ultimo giorno, sono venuta a prenderti per strapparti alla tua nefanda vita e portarti con me all’inferno, io sono, sotto mentite spoglie, la tua Morte!
Fu subito buio.

la Nebbia




Qui non c’é mai
La nebbia
Oggi torna il sole
Dopo una settimana
E questa volta
Sono io
Grigio
In sindrome premestruale
Acido
Con tutti.
Non trovo il maestrale
Per spazzare
Le nuvole dai miei pensieri
Mi attesto
Finché finisce
Questo scirocco

La Rosa dei Venti



Come sempre quando sono nel pieno della tempesta, della crisi, penso a come ci sono arrivato. Non voglio iniziare dall’inizio, salto i preliminari, insomma niente Adamo ed Eva. Tutto era iniziato da una complicità istintiva, immediata. Già dalla prima volta che l’ho vista con la gamba ingessata, dovevamo badare a coprire la sua assenza dal lavoro, e poi dovevamo rivederci presto per scambiarci di nuovo quegli sguardi d’intesa, perché lei mi era proprio piaciuta. Così la complicità è stata il filo conduttore di un innamoramento. Quest’atteggiamento mi affascinava, m’irretiva sempre di più, fino a farmi avere comportamenti mai immaginati nelle mie vite precedenti. Sulla complicità si basavano i racconti, sulle nostre vite, prima della “nostra”. Mi sentivo complice quando mi raccontava del pilota di linea greco, conosciuto a Santorini, con cui aveva scopato già la prima sera, o del cuoco austriaco, che invece aveva dovuto aspettare sei mesi. Mi raccontava della sua vita spericolata, fatta di eccessi alla Charles Bukowski. Mi piaceva essere travolto da questo ciclone di emotività, che sconvolgeva la mia precedente esistenza di potenziale ribelle, sempre troppo ben comportato. Lei aveva viaggiato molto di più di quanto io allora, mi fossi mai permesso. Ora potevo iniziare un mio viaggio verso terre straniere alle mie, medio borghesi abitudini. Purtroppo in tutto ciò, c’era già la crisi che oggi è cresciuta come una sequoia, da quei semini, più piccoli di quelli del sesamo. Paradossalmente non sono state le differenze di allora a separarci oggi, ma proprio la loro scomparsa, la mancanza di cose da dirsi, niente più sorpresa né tanto meno emozione, questo ci ha uccisi. Di cosa dovremmo essere complici oggi? Difficile trovare intrigo nel mutuo e nelle bollette. Il patetico medio borghese che ero, definisce “grigia pantofolaia” la tramontana, che aveva arruffato la mia vita. Sono lontani anni luce, i momenti di pathos che mi avevano fatto scrivere di una notte in barca come lo spartiacque che divideva la mia vita in un “prima” e in un “adesso”. Quell’emozione si è nebulizzata come un’onda di maestrale, sullo scoglio dell’inganno e del tradimento, che già mi aveva visto inconsapevole, protagonista ovviamente, non invitato.  Basta. Meglio solo che invischiato in questo squallore. Possibile che mi rapporti con lei, ormai, in modo solo negativo? Possibile. Il vento che si percepisce oggi non è più la bora di cui scrivevo una vita fa, che sconvolgeva la mia testa, oggi sulla mia rosa dei venti c’è l’appiccicoso scirocco, e speriamo che non piova, che se no, è sabbia. Una patina rossastra, scivolosa che appiattisce tutto, e tutto scompare, come durante quella tempesta desertica che a Luxor, ci costò un giorno d’inedia sul Nilo. Adesso, forse per crederci ancora vivi, ci rimproveriamo tutto anzi, nemmeno questo. Ci detestiamo, e recriminiamo in genere, a priori, in silenzio o peggio, con terzi. Per convincerci sempre più di quanto l’altro sia stronzo. Che le nostre porcate, siano almeno giustificate e legittimate dall’altrui comportamento di merda. Ci spiamo in cagnesco, con la malcelata speranza di trovare conferme e prove per il verdetto, già emesso, di colpevolezza aggravata, dell’altro, che così può essere, senza appello fustigato e crocefisso, con nostro gran sollazzo. Barabba, grida la nostra folla interiore, inferocita. Meglio un assassino, un puttaniere, una squallida, acida depressa, che quello che avevamo creduto il nostro Amore.

Prima e dopo


La barca era assolutamente immobile sull'ancora in una baia che abbracciava uno specchio d'acqua ferma come un lago, circondato da dolci colline, il cui profilo scuro si delineava ad intervalli quasi regolari per il passaggio lontano di fari d'automobili senza rumore, contro il cielo appena rischiarato dalle stelle. La notte calda, di metà luglio, in Grecia, un bicchiere di porto Calem riserva, il lento oscillare della fiammella della lucerna ad olio sul tavolo in pozzetto, tutto sollecitava una piacevole sensazione di rilassamento muscolare. Dino aveva spento anche lo stereo, e il silenzio era assoluto. Neanche più le cicale, già zittite da tempo erano state sostituite dai grilli.
 Silenzio.
Anche troppo.
L'immobilità dell'acqua impediva persino la ritmica della risacca. La baia non lontana da Igoumenitza, ma comunque abbastanza distante da qualsiasi insediamento umano era muta.
Persino l'assenza della luna non consentiva percezione di movimento. Aveva appena interrotto la lettura dell'Antologia di Spoon River affollata di fantasmi risentiti e i loro rancori affollavano ancora i suoi pensieri.
Due occhi brillavano davanti ai suoi, come per contrasto, per partecipare la stessa tranquilla sensazione di piacere che lui stesso provava.
Silenziosi.
Nessuno si muoveva, quasi fosse un profanare quel silenzio cosmico. Quelle iridi scure esaltate dal chiarore delle sclere gli davano una strana sensazione che non riusciva a decifrare. Poi capii che erano il centro di gravità di quella scena. Senza quel polo d'attrazione quella magnifica scena, intensa, poteva essere una scena di vuoto, di desolazione e di morte.
Quegli occhi erano vita. Amore che gli si presentava sotto mentite spoglie. Si rese conto quanto sia sbagliato dire:
- Ti amo da morire.
No quegli occhi dicevano: 
- Ti amo da vivere!
Erano loro il movimento, la vita.
La loro presenza fece scivolare i suoi pensieri su un dolce pendio di serenità.
Una forza.
La sua vita si è divisa in un prima e un dopo.

Sento freddo


Sento freddo!
Cerco un calore, ma, senza la tua presenza non riesco ad assorbire tepore.
Mi appoggio allo schienale della poltrona e chiudo gli occhi. La testa si affolla d’immagini. I tuoi capelli mi riempiono lo sguardo virtuale. Lunghi, di seta provo a toccarli, nella mia immaginazione, come in un viaggio 3D, mi sembra di poterli sfiorare, il battito cardiaco accelera mentre passo a sfiorarti sulle spalle, sul collo, e risalendo, con il dorso delle dita sulle tue guance. I miei occhi si perdono nei tuoi, mentre una musica alla Mark Knopfeld riempie le mie orecchie, dolce e ritmata nello stesso tempo. Si mescolano immagini di verdi colline che si tuffano in mare di smeraldo con il profilo dei tuoi fianchi. Sei tu sotto mentite spoglie. Le tue gambe snelle e scattanti mi provocano un brivido lungo la schiena e nello stesso tempo m’infondono una sensazione calda.
Mi perdo in un vortice d’immagini e sensazioni, fino ad imperlarmi la fronte di sudore, devo fermarmi e aspettare che la realtà da virtuale diventi vera. Aspetto. Ti aspetto. Aspetto.

Legno Bagnato


 Sono in crisi d'astinenza, come un tossicomane, ho ormai sempre più bisogno di tornare a sentire l'aspro tocco del legno bagnato di sudore, di una barra di timone, nella mano.
          L'emozione di una giornata di sole invernale in mezzo al mare, come  uno stato di grazia. Un regalo inatteso.
          Manipolo le foto delle crociere passate, per provare una sensazione di piacere, che svanisce, effimera, troppo rapidamente. Voglio di nuovo una barca, ormai mi è insopportabile questa deprivazione.
          Voglio sentirla sotto i miei piedi, voglio toccarla, riempirmene gli occhi, voglio lavorarla, voglio sentirla soffrire con me sotto le raffiche. Voglio usarla e viverla.
          Davanti alle immagini statiche dei reportages dei viaggi già fatti, incomincio a sentire il bisogno sempre più forte di mollare gli ormeggi. Voglio nelle mie narici l'odore del legno bagnato di mare. La calma serena, di una notte in rada, lontano dal turbine travolgente di questo mio ultimo anno sconvolto da shock emotivi, da passioni travolgenti e violente nei miei confronti. Ho esaurito il periodo della quaresima, è finito il mio ramadan, che avevo previsto, forse cercato, quando scrivevo che non avrei passato un'estate dalle notti cullate da uno scafo. Cosciente dell'imminente naufragio della mia "Sherpa" esistenziale.
          Ma un'araba fenice, sta risorgendo dentro di me. Adesso incomincio con forza crescente, quasi ossessiva, a vedermi percorrere le rotte delle isole, verdi o sassose, dai profumi più intensi.
          Mi sogno in viaggio a sud, non solo quello della bussola, ma quello mitico della speranza di riappropriarsi di se.
          Adesso ho una croce di stelle che mi aiuta nella rotta verso il piacevole calore del sole, a sud. E' finita la fredda notte dell'indifferenza, del gelo, della stella polare.
          Voglio una barca magari di legno, per sentirne l'odore di bagnato. Quello stesso bagnato che ti fa rabbrividire quando è freddo come una nebbia londinese, ma che ti fa esaltare, quando è caldo come l'umore di una donna che gode con te.
          Avrei voglia di partire ora, subito, di mollare tutto. La mia scrivania si sta facendo più odiosa ogni momento. Vorrei vederla ingombra di tavole da carteggio, su cui inseguire le ruvide Kornati o l'ignota Itaca, la verde Mljet o la piccola Paxos. Voglio confondere lingue latine greche e slave di giorno, le nostre di notte. Voglio sentire vibrare le sartie col vento e la tua pelle con le mie carezze. Voglio bagnarmi di mare, di te, di immenso piacere.